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L’irruzione di un virus invisibile e oscuro ha avuto un impatto straordinario in tutte le branche ordinamentali. Dal diritto civile al diritto penale, dal diritto amministrativo a quello tributario e contabile, passando attraverso il diritto processuale e quello sportivo, senza dimenticare il diritto sovranazionale, nessuna disciplina può dirsi immune agli effetti della pandemia da Covid-19.
Che conseguenze ha portato il Covid-19 nel nostro ordinamento? Il diritto del futuro sarà lo stesso, cambierà o è già in atto il cambiamento? La frenetica normativa esplosa in questi tempi è solo "diritto dell’urgenza", destinato ad estinguersi con il cessare del momento di crisi o darà lo spunto per una definitiva metamorfosi dell’ordinamento giuridico?
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25/09/2020
Smart-working…io vorrei…non vorrei…ma se vuoi…
argomento: Diritto Civile
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di Giannicola Paladino
Sommario: 1. Premessa. - 2. Il lavoro agile si conferma uno strumento multifunzionale nella disponibilità della legislazione dell’emergenza. – 3. Lo stato dell’arte del lavoro agile: le problematiche aperte nella cd. “Fase 3”. - 3.1. Il comparto di lavoro privato. – 3.2. Il lavoro alle dipendenze della p.a. - 4. Le prime pronunce della giurisprudenza di merito in materia di smart-working. - 5. Conclusioni.
1) Premessa.
Il presente contributo si prefigge l’obiettivo di analizzare sinteticamente le novità legislative e giurisprudenziali riguardanti l’istituto del lavoro agile nel periodo compreso tra l’epilogo della cd. “Fase 2” e l’inizio della cd. “Fase 3”[1].
Lo smart-working, infatti, continua a ricoprire un ruolo centrale nell’ambito della regolazione dei rapporti di lavoro subordinato, sia pubblico sia privato, anche nel prosieguo della perdurante crisi epidemiologica da COVID-19, che pare subire una recrudescenza con la ripresa a pieno regime delle attività quotidiane successiva alla sospensione estiva.
Invero, se da un lato il Parlamento nazionale (con la legge cd. “ Rilancio” del 17 luglio 2020, n. 77[2], di conversione del d.l. del 19 maggio 2020, n. 34) ed il Governo (con il d.P.C.M. del 7 agosto 2020 ed il d.l. 8 settembre 2020, n. 111[3]) hanno previsto delle normative finalizzate a favorire ulteriormente il ricorso al lavoro agile attribuendo ad esso plurime funzioni anche diverse tra loro; al contrario, dall’altro, alcune disposizioni regionali (come ad esempio l’Atto di richiamo della Regione Campania del 20 giugno 2020) hanno auspicato il ritorno allo svolgimento delle attività lavorative in presenza, relegando lo smart-working a situazioni eccezionali.
La copiosa produzione normativa in materia ha determinato, altresì, i primi interventi della giurisprudenza volti ad applicare e a definire i contorni della disciplina in esame, sottolineando l’importanza del dibattito avente ad oggetto il lavoro agile, che, seguendo l’andamento ondivago della curva dei contagi, resta decisamente aperto ed attuale.
2) Il lavoro agile si conferma uno strumento multifunzionale nella disponibilità della legislazione dell’emergenza.
La peculiarità che caratterizza la legislazione emergenziale in tema di smart-working è quella secondo cui l’utilizzo di tale istituto non è finalizzato esclusivamente al contenimento ed alla gestione della recente crisi sanitaria, bensì esso assurge a mezzo attraverso cui operare una riforma culturale ed un’innovazione epocale del mercato e del sistema del lavoro. Questo aspetto emerge in modo chiaro dalla legge cd. “Rilancio”, n. 77/2020, la quale ha convertito con modificazioni il d.l. n. 34/2020. A ben vedere, le modifiche apportate in sede di conversione dal Parlamento sono state particolarmente rilevanti rispetto all’originario decreto legge, contribuendo a ridisegnare la disciplina del lavoro agile nei rapporti di lavoro alle dipendenze dalle p.a.; nello specifico, le norme del testo di legge che interessano lo smart-working sono gli articoli 90 e 263. La prima, rubricata “Lavoro agile”, nella formulazione risultante all’esito degli emendamenti in sede di conversione[4], ha attribuito il diritto potestativo di svolgere la prestazione di lavoro subordinato privato in modalità di lavoro agile già prevista, a determinate condizioni, per i genitori lavoratori del settore privato con figli minori di anni 14, anche ai dipendenti che risultino maggiormente esposti al rischio del contagio da COVID-19 in ragione dell' età o dell’immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possano caratterizzare una situazione di maggiore rischiosità accertata dal medico competente nell'ambito della sorveglianza sanitaria eccezionale di cui all'articolo 83 della medesima legge. Quanto detto, ovviamente, è valido nei limiti della compatibilità della prestazione lavorativa con la modalità dello smart-working e fino alla cessazione dello stato di emergenza, fissata dal d.l. del 30 luglio 2020, n. 83[5], in attuazione della delibera del Consiglio dei Ministri del 29 luglio 2020[6], alla data del 15 ottobre 2020[7]. L’intentio legis, quindi, è stata quella di ampliare i casi in cui il lavoratore, esercitando un diritto potestativo attribuitogli dalla legge, possa imporre lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità agile al proprio datore, trovandosi quest’ultimo in una posizione di vera e propria soggezione. Contrariamente alle altre ipotesi cui è accomunata, ossia i soggetti disabili ed i loro conviventi ed i genitori dei minori di 14 anni, quella summenzionata ha carattere più ampio, inglobando al proprio interno situazioni disomogenee, ed è volta a tutelare persone vulnerabili e sottoposte a costante controllo sanitario in questa fase epidemiologica. Ciò nonostante, è opportuno precisare che, a seguito del d.l. n. 83/2020, la formula del lavoro agile senza necessità del previo accordo per i genitori conviventi con figli minori di anni 14 resta in vigore sino al 14 settembre 2020, data di inizio del nuovo anno scolastico con la modalità in presenza, e non fino al 15 ottobre 2020, così come chiarito dal Ministero del Lavoro con una Faq sul proprio sito internet[8].Diverso tenore riveste, invece, la previsione di cui all’art. 263 della l. n. 77/2020, rubricato “Disposizioni in materia di lavoro pubblico e agile”[9], le cui modificazioni parlamentari hanno inciso marcatamente sul testo del decreto legge convertito ed hanno accelerato il processo riforma della gestione del lavoro nel comparto pubblico mediante l’utilizzo dello smart-working. Al riguardo, la normativa ha introdotto, innanzitutto, un limite quantitativo disponendo che fino al 31 dicembre 2020, allo scopo di assicurare la continuità dell’azione amministrativa e la celerità nella conclusione dei procedimenti, le amministrazioni pubbliche debbano organizzare l’attività lavorativa in modalità di lavoro agile impiegando il 50 per cento del personale che può svolgere la prestazione usufruendo di tale procedura (comma 1). Al contempo, il legislatore ha precisato che i decreti del Ministro per la pubblica amministrazione i quali definiscono le modalità organizzative e fissano i criteri e principi in materia di flessibilità del lavoro pubblico e di lavoro agile possano anche prevedere il conseguimento di precisi obiettivi quantitativi e qualitativi. Nel tentativo di adeguare il quadro normativo al contesto epidemiologico, una previsione di senso contrario stabilisce che la limitazione dell’accesso del personale negli uffici pubblici, consentita solo per le attività ritenute indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza fisica sul luogo di lavoro, disposta dall’art. 87, comma 1, lett. a) del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 - così come conv. con mod. dalla l. 24 aprile 2020 n. 27 - cessa di avere efficacia a partire dal 15 settembre 2020.Di primaria importanza è, poi, la modifica inerente all’art. 14 della l. 7 agosto 2015, n. 124 - cd. “Madia” - ad opera del comma 4-bis dell’art. 263 cit.. Quest’ultimo sancisce che entro il 31 gennaio di ogni anno le amministrazioni statali redigono, sentite le organizzazioni sindacali, il Piano Organizzativo del Lavoro Agile (POLA), che rappresenta un’autonoma sezione del Piano della perfomance di cui all’art. 10, lett. a), del decreto legislativo del 27 ottobre 2009, n. 150[10]. Sul punto viene ulteriormente precisato che il POLA individua le modalità attuative del lavoro agile prevedendo che almeno il 60 per cento dei dipendenti pubblici possa avvalersene e garantendo che l’adesione allo smart-working non comporti penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera. Lo stesso “definisce, altresì, le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative”. Qualora la p.a. non proceda all’adozione del POLA, il lavoro agile si applica almeno al 30 per cento dei dipendenti, se essi ne facciano richiesta[11]. Un’ulteriore disposizione concerne la possibilità che con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e considerate anche le risultanze del monitoraggio del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri nei confronti delle pubbliche amministrazioni, possano essere definiti non solo nuovi e specifici indirizzi per l'attuazione delle previsioni sia della l. n. 77/2020 sia di quella del 22 maggio 2017, n. 81, per quanto applicabili alle pubbliche amministrazioni, ma anche le regole inerenti all'organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere lo smart-working e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti. Infine, Presso il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri viene istituito l'Osservatorio nazionale del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche[12]. Con riferimento alle attività professionali, il d.P.C.M. del 7 agosto 2020[13] ha prorogato le misure precauzionali di contrasto al virus COVID-19 raccomandando all’art. 1, comma 1, lett ll), a) che esse vengano svolte in modalità smart-working ove possibile.La natura cangiante e la funzione poliedrica del modello del lavoro agile emergono, ancora, dal recentissimo intervento del Governo, che, tenendo sempre in considerazione l’andamento dei contagi da COVID-19, apre la stura alla cd. “Fase 3” volta alla riorganizzazione di tutte le attività economico-sociali contemperando le opposte esigenze della ripresa del sistema economico con la tutela della salute pubblica ed i connessi obblighi di distanziamento sociale. Nella prospettiva evidenziata assume fondamentale importanza l’art. 5 del d.l. 8 settembre 2020, n. 111[14], rubricato “Lavoro agile e congedo straordinario per i genitori durante il periodo di quarantena obbligatoria del figlio convivente per contatti scolastici”. In ottica della riapertura degli istituti scolastici, prevista per il 14 settembre 2020, si è stabilito che il genitore lavoratore dipendente possa svolgere la prestazione subordinata in modalità agile per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente minore di anni quattordici, disposta dal Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente a seguito di contatto con soggetto positivo al COVID-19 verificatosi all'interno del plesso scolastico (comma 1). Qualora le caratteristiche della prestazione lavorativa non consentano che la stessa possa svolgersi in smart-working e, in ogni caso, in via sostitutiva alla predetta misura, uno dei genitori, alternativamente all'altro, può astenersi dal lavoro godendo di un congedo straordinario (comma 2) e percependo, in luogo della retribuzione, un’indennità pari al 50 per cento del proprio stipendio (comma 3)[15]. In entrambe le ipotesi, i relativi periodi sono coperti da contribuzione figurativa. Viene, inoltre, precisato che nei giorni in cui uno dei genitori gode delle misure indicate, oppure svolge anche ad altro titolo l'attività di lavoro in modalità agile o comunque non effettua nessuna prestazione di lavoro, l'altro genitore non può chiedere di fruire di alcuna delle predette misure (comma 4). L’accesso ai citati benefici, tuttavia, ha validità per periodi compresi entro il 31 dicembre 2020 e non oltre. Malgrado, quindi, il Governo, coadiuvato dal Parlamento, abbia incentivato l’ampliamento e lo sviluppo della disciplina in materia di lavoro agile, alcune Regioni hanno tentato di intraprendere una strada opposta allo scopo di favorire la ripresa economica. Esemplificativo in tal guisa è l’Atto di richiamo della Regione Campania del 20 giugno 2020[16], il quale auspica che tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, adeguino “le misure organizzative adottate in tema di cd. smart working, al mutato contesto, fattuale e normativo, onde consentire la modulazione delle attività in presenza dei dipendenti, beninteso nel rispetto delle misure di prevenzione e sicurezza approvate con riferimento ai diversi comparti, a tutela dei lavoratori e dell’utenza”. Il provvedimento in esame sembrerebbe contrastare con l’ordinanza della medesima Regione del 17 maggio 2020, n. 48 e con il principio di leale collaborazione tra le istituzioni che permea l’attuale diritto amministrativo. Lo stesso, tuttavia, deve essere interpretato considerando la situazione sanitaria presente al momento della sua adozione, che contemplava pochissimi contagi su tutto il territorio nazionale e, in particolare, in Campania. Le ultime normative emanate dal Governo e dal Parlamento in argomento sono state tutte emanate successivamente al menzionato periodo e fanno riferimento ad una fase di criticità con un’impennata nell’aumento dei contagi. Esse, dunque, hanno automaticamente sostituito l’atto della Regione Campania, perseguendo proprio quell’esigenza di cooperazione tra istituzioni che si deve necessariamente adeguare all’andamento della curva epidemiologica.
3) Lo stato dell’arte del lavoro agile: le problematiche aperte nella cd. “Fase 3”.
3.1. Il comparto di lavoro privato. La febbrile produzione normativa che connatura l’attuale momento storico-sociale determina inevitabilmente l’insorgenza di dubbi e contrasti interpretativi ed ermeneutici. Questa considerazione non risparmia nemmeno la tematica dello smart-working alla luce del quadro legislativo risultante dai novelli interventi. Sul punto è d’uopo effettuare una distinzione a monte tra i rapporti di lavori privatistici e quelli alle dipendenze della p.a. Nel primo caso la previsione di cui all’art. 5 del d.l. 111/2020 rappresenta un’innovazione di primario rilievo, che ribadisce la funzione di misura a sostegno della genitorialità del lavoro agile la quale si affianca a quella di strumento di tutela della salute e di ammortizzatore sociale. La disposizione, tuttavia, da’ adito ad alcune perplessità; nella voluntas legis, infatti, essa dovrebbe sostituire la normativa ex art. 90, comma 1 del d.l. 34/2020, che attribuisce ai genitori dei minori di anni 14 il diritto di svolgere la prestazione lavorativa in smart-working senza previo accordo con il datore al ricorrere di determinate condizioni. Con la riapertura dei plessi scolastici la suddetta disciplina, valida sino al 14 settembre 2020 (data prevista dal legislatore per l’inizio dell’anno scolastico con la presenza degli alunni in classe), è idealmente surrogata dal succitato art. 5. Quest’ultimo, però, non appare esaustivo e chiaro nella sua formulazione; l’articolo stabilisce al comma 1 che “un genitore lavoratore dipendente può svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio convivente, minore di anni quattordici, disposta dal Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente a seguito di contatto verificatosi all'interno del plesso scolastico”, mentre l’art. 4 sancisce che “nelle sole ipotesi in cui la prestazione lavorativa non possa essere svolta in modalità agile e comunque in alternativa alla misura di cui al comma 1, uno dei genitori, alternativamente all'altro, può astenersi dal lavoro per tutto o parte del periodo corrispondente alla durata della quarantena del figlio, minore di anni quattordici, disposta dal Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente a seguito di contatto verificatosi all'interno del plesso scolastico”. In entrambi i lemmi viene utilizzato il termine “contatto”; un’interpretazione ragionevole e sistematica della norma induce a ritenere che la stessa si applichi non solo nel caso in cui il minore, a seguito del contatto con una persona positiva al virus del COVID-19 nella struttura scolastica non sia rimasto contagiato e, quindi debba effettuare l’isolamento precauzionale (ipotesi cui sembra inerire la norma interpretata in senso letterale), ma anche, e soprattutto, allorquando il minore risulti infetto. Diversamente ragionando si determinerebbero un vulnus di tutela ed una disparità di trattamento irragionevoli, considerando la cessazione dell’efficacia della disposizione di cui all’art. 90, comma del d.l. 34/2020 in data 14 settembre 2020. A tal proposito, desta perplessità il comportamento adottato dal legislatore, il quale ha precisato la data in cui la previsione succitata non risulti più in vigore per il tramite di una comunicazione mediante una Faq sul sito del Ministero del lavoro; appare dubbia la legittimità di tale modus operandi e criticabile la scelta dell’utilizzo di un simile strumento, tenendo presenti anche le esigenze di pubblicità che un chiarimento normativo di questa portata esige. Altra considerazione che si rende opportuna investe la durata del periodo in cui è possibile godere del beneficio ex art. 5 del d.l. 111/2020 che non può superare il 31 dicembre 2020 e che, dunque, è destinato a trovare applicazione anche successivamente alla conclusione dello stato di emergenza (15 ottobre 2020), salvo ulteriori proroghe.
3.2. Il lavoro alle dipendenze della p.a.Nell’impostazione legislativa lo smart-working in ambito pubblicistico rappresenta, come già evidenziato, il volano attraverso il quale dare vita ad una rivoluzione culturale del mercato del lavoro; di guisa che esso si colloca in quel processo di riforma della concezione della p.a., che viene intesa in senso aziendalistico, iniziato con il d.lgs. 150/2009 (cd. “riforma Brunetta”) e proseguita con la l. n. 124/2015 (cd. “riforma Madia”).Le legge n. 77/2020, di conversione del d.l. 34/2020, rappresenta di sicuro un ennesimo passo avanti in tale direzione. Al pari, però, degli interventi nel settore privatistico, anche nel comparto pubblico le disposizioni normative hanno comportato il sorgere alcune riflessioni. In primis, l’art. 263 della l. 77/2020 ricollega in modo definitivo il lavoro agile al sistema della perfomance amministrativa, mediante la redazione del Piano di organizzazione del lavoro agile (POLA), coinvolgendo anche i cittadini, singolarmente o in forme associate. Quest’ultima previsione costituisce un’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, comma Cost.), il quale, seppure vive ancora una fase embrionale nel nostro ordinamento, trova crescente considerazione da parte del legislatore.
Il punctum dolens della novella normativa involge le conseguenze scaturenti nel caso di mancata adozione del POLA da parte della p.a. L’art. 263, comma 4-bis della legge in esame, modificando l’art. 14, comma 1 della l. 124/2015 stabilisce, infatti, che “Il POLA individua le modalità attuative del lavoro agile prevedendo, per le attività che possono essere svolte in modalità agile, che almeno il 60 per cento dei dipendenti possa avvalersene... In caso di mancata adozione del POLA, il lavoro agile si applica almeno al 30 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano”. Il dato letterale della norma esorta a ritenere che le pubbliche amministrazioni abbiano l’obbligo, dal 31 gennaio 2021, di adottare il POLA annualmente nella misura non inferiore al sessanta per cento dei propri lavoratori e che qualora non rispettino tale previsione la sanzione sarebbe esclusivamente l’applicazione del lavoro agile almeno per il trenta per cento dei dipendenti, se gli stessi ne facciano richiesta. Una così fatta interpretazione, tuttavia, sembrerebbe mal coordinarsi con altre disposizioni presenti nell’ordinamento; per espressa previsione legislativa, il POLA rappresenta un’apposita seziona del Piano della performance amministrativa di cui all’art. 10, comma 1, lett. a) del d.lgs. 150/2009 (art. 263, comma 4-bis). E’ opportuno notare che l’art. 10, comma 5 del decreto legislativo summenzionato sancisce che “in caso di mancata adozione del Piano della performance è fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che risultano avere concorso alla mancata adozione del Piano, per omissione o inerzia nell'adempimento dei propri compiti, e l'amministrazione non può procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati”, contemplando il legislatore in tal modo una sanzione di non poco momento per l’ipotesi di omessa adozione del Piano della perfomance, in grado di incidere sia sulla retribuzione dei dirigenti della p.a. responsabili sia sul potere di procedere a nuove assunzioni o incarichi. Sul punto è intervenuta, altresì, la Corte dei conti, con la deliberazione del 1 giugno 2017, n. 369 della sezione di controllo Veneto precisando che l’adozione del Piano delle performance è condizione necessaria per l’esercizio delle facoltà di assunzione dell’ente locale; diversamente, l’amministrazione rimasta inerte è tenuta, a far data dall’esercizio successivo a quello del rilevato inadempimento, ad osservare il divieto di procedere ad assunzioni, anche per lavoro flessibile, a pena di ricadute in termini di responsabilità amministrativa, disciplinare ed erariale.
Principiando dal ragionamento secondo cui il POLA costituisce un’autonoma sezione del Piano della performance e che la sua adozione consiste in un obbligo per le pubbliche amministrazioni, non è chiara la ratio della scelta del legislatore di individuare come conseguenza della sua mancata adozione esclusivamente la possibilità per i dipendenti di chiedere la modalità di smart-working nella misura almeno del trenta per cento. Neppure si comprende dal dettato normativo se, in caso di inerzia della p.a., i lavoratori possano esercitare il diritto in questione senza il previo accordo con l’amministrazione o se comunque sia necessario un concerto con la stessa. Inoltre, non appare ragionevole che le conseguenze dell’omissione della pubblica amministrazione debbano ricadere, sebbene entro certi limiti, sui lavoratori, che difficilmente potrebbero vedere riconosciuto il proprio diritto nella percentuale che la legge gli garantirebbe nella circostanza in cui la p.a. ottemperasse al proprio obbligo ai sensi art. 263, comma 4-bis della l. n. 77/2020. Può, quindi, ritenersi, per le ragioni esposte, che nella situazione in cui la p.a. non proceda all’adozione del POLA possa applicarsi, in ogni caso, in via analogica la sanzione prevista dall’art. 10, comma 5 del d.lgs. 150/2009 per la mancata redazione del Piano della performance, volta a colpire l’organizzazione del lavoro della singola amministrazione ed i responsabili dell’inadempimento. Condividendo tale considerazione si renderebbe anche maggiormente effettiva la disciplina dello smart-working nel settore pubblico, adiuvando quel processo di riforma del sistema del lavoro che la recente legislazione intende realizzare.
4) Le prime pronunce della giurisprudenza di merito in materia di smart-working.
L’applicazione della novella disciplina legata all’emergenza epidemiologica del virus COVID-19, che nel corso degli ultimi mesi ha visto il susseguirsi di numerose disposizioni, ha determinato l’inevitabile proliferare degli interventi pretori dei Tribunali di merito. Il primo arresto giurisprudenziale sulla tematica del lavoro agile è rappresentato dal decreto del Tribunale di Bologna, Sezione Lavoro, 23 aprile 2020, n. 2759 pronunciatosi sulla domanda cautelare d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. di un lavoratore con invalidità al 60 per cento e convivente con figlia con handicap grave, la cui richiesta di smart-working era stata respinta dal datore il quale l’aveva collocato in cassa integrazione. In via cautelare i giudici bolognesi hanno stabilito che nell’attuale situazione di emergenza sanitaria il lavoro da casa è raccomandato o imposto dalla normativa: il ricorrente sembra, dunque, avere diritto, ai sensi dell'art. 39, del d.l. del 17 marzo 2020, n. 18 ad accedere allo smart-working disciplinato dagli articoli da 18 a 23 della l. n. 81/2017.
Lo stesso giorno è stata emanata l’ordinanza del Tribunale di Grosseto, n. 502 del 2020, che, trattando la medesima tematica, ha approfondito alcune argomentazioni. Innanzitutto, è stata ribadita, in aderenza all’orientamento pretorio maggioritario, l’ammissibilità di provvedimenti cautelari di condanna ad un facere infungibile “indipendentemente dalla concreta possibilità di dar loro attuazione, valorizzando così il carattere di atipicità, proprio dei provvedimenti d'urgenza, che si riflette sul contenuto della misura invocata”. Nel caso di specie il ricorrente era un un lavoratore con gravi patologie polmonari, che gli avevano procurato un’invalidità civile con riduzione del 60 per cento della capacità lavorativa. La soluzione adottata dal Tribunale ha posto l’accento sulle difese adottate dal convenuto; quest’ultimo, infatti, aveva perorato la tesi in base alla quale il lavoratore era in malattia nel momento in cui i suoi colleghi furono collocati in smart-working e, di conseguenza, il ricorrente era stato posto dinanzi alla scelta tra la sospensione non retribuita del rapporto e il godimento forzato di ferie non ancora maturate.
I giudici toscani non hanno condiviso le ragioni della parte convenuta, ritenendo che il suo comportamento avesse cagionato un’irragionevole lesione dei diritti fondamentali del lavoratore, obbligato all’alternativa tra il rinunciare alla retribuzione o alle ferie, non adducendo nessuna motivazione valida sul perché non fosse stato possibile adottare anche per il dipendente in questione la modalità di lavoro agile. All’esito delle valutazioni riportate il datore è stato condannato in via cautelare a consentire al ricorrente lo smart-working e ad una somma di denaro, pari ad euro 50,00, per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c.
La pronuncia analizzata detta dei principi interessanti in riferimento ai profili giurisprudenziali in materia di lavoro agile, stabilendo, in primis, che lo strumento ex art. 700 c.p.c. si manifesta come adatto alla tutela d’urgenza del lavoratore che voglia tutelare il proprio diritto, negato, allo svolgimento della prestazione in smart-working e, poi, che, in relazione all’onere della prova, spetta al convenuto-datore dimostrare i motivi che non abbiano consentito al dipendente di giovare della suddetta modalità.
Nel solco tracciato dalla decisione appena menzionata si indirizza l’ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, 20 giugno 2020, n. 12525 che ha accolto un ricorso d’urgenza di una lavoratrice di un’azienda sanitaria di Roma che presentava all’interno del nucleo familiare la madre ed il figlio, entrambi in condizione di handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge del 5 febbraio 1992, n. 104. I giudici capitolini hanno ritenuto compatibile con il lavoro agile la mansione svolta dalla ricorrente e hanno sottolineato che tale valutazione deve avvenire sulla scorta di circostanze concrete con riguardo alla specifica attività, essendo compito del datore fornire la prova dell’impossibilità dello svolgimento dello smart-working.
Di converso, a differenti conclusioni è giunto il Tribunale di Mantova, che con il decreto 26 giugno 2020, n. 1054 ha sancito che il ricorrente, dipendente di una società di parcheggi, non potesse esercitare la prestazione lavorativa in smart-working, richiedendo la mansione svolta la necessaria presenza fisica sul posto di lavoro. La decisione è stata fondata anche sulla circostanza che, seppure il lavoratore fosse genitore di un minore di anni 14, potendo trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 90 del d.l. 34/2020, il beneficio del lavoro agile era già usufruito nello stesso periodo dalla propria moglie convivente.
Il primo provvedimento inerente al lavoro agile nel settore pubblico, invece, è il decreto del Tribunale di Venezia, Sezione Lavoro, 8 luglio 2020, n. 3463 emesso a seguito di un procedimento ex art. 28 della legge del 20 maggio 1970, n. 300. Il Tribunale veneto ha previsto che, in materia di pubblico impiego, “il buono pasto è un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far si che, nell'ambito dell'organizzazione di lavoro, si possano conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane dei lavoratore, al quale viene così consentita - laddove non sia previsto un servizio mensa - la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall'Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell'attività lavorativa, nelle ipotesi in cui l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio (...)". Non si tratta quindi di un elemento della retribuzione, né di un trattamento comunque necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma piuttosto di un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell'orario di lavoro. Se così è, i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart-working ex art.20 Legge n. 81 del 2017… In sostanza dunque i buoni pasto non sono dovuti al lavoratore in smart-working e di conseguenza la mancata corresponsione degli stessi non doveva essere oggetto di contrattazione e confronto con le sigle sindacali. D'altro canto è anche difficile ipotizzare quale potrebbe essere l'esito di tale confronto: se i buoni pasto non spettano, non possono erogati e l'atto del Comune con cui se ne sospende l'erogazione al lavoratore in smart-working è sostanzialmente un atto "necessitato" “. Tale pronuncia è assolutamente condivisibile sotto il profilo della necessità di contenere la spesa pubblica e di ancorare i benefici diversi dalla retribuzione ad esigenze di servizio concrete; tuttavia, sembrerebbe trascurare la considerazione secondo cui lo smart-working, soprattutto nel settore pubblico, rappresenta uno strumento destinato a durare anche dopo la pandemia e le connesse esigenze di distanziamento sociale. Nulla vieta, dunque, che in futuro i lavoratori pubblici potranno svolgere la propria attività in spazi che non siano quelli domestici (ad esempio locali di co-working pubblici a ciò destinati) e, di conseguenza, avere il diritto di godere, magari entro certi limiti normativamente predefiniti, del benefit dei buoni pasto.
Infine, per esigenze di esaustività, è opportuno evidenziare la funzione peculiare che alcune decisioni di merito attribuiscono al lavoro agile; le stesse hanno individuato nello svolgimento della prestazione di lavoro in smart-working, oltre che nel risultato negativo al test del virus del COVID-19, un elemento in grado di valutare l’idoneità del genitore separato alla ripresa degli incontri con i figli affidati all’altro genitore successivamente alla sospensione delle visite a causa della pandemia[17].
5) Conclusioni.
La rapida analisi degli ultimi interventi normativi consente di ribadire che anche nella cd. “Fase 3”, quella deputata a regolamentare la convivenza tra il COVID-19 e la ripresa ordinaria di tutte le attività socio-economiche, lo smart-working mantiene le proprie caratteristiche polivalenti ed è oggetto di difforme disciplina a seconda che si faccia riferimento al lavoro pubblico o a quello privato. La novità di rilievo di tale fase è che con l’aiuto della giurisprudenza è possibile non solo definire con maggiore precisione i contorni dell’istituto esaminato, ma anche individuare nuove funzioni che esso può assumere. Si tratta di un supporto fondamentale in un momento storico in cui la legislazione, frenetica e troppe volte confusionaria, sembra non riuscire sempre a dare risposte celeri ed esaurienti. Ed è proprio per il tramite dell’attività ermeneutica, oltre che con ulteriori interventi legislativi, che potranno trovare risposta molti dei dubbi che questo contributo ha cercato di sollevare.
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Giannicola Paladino. Magistrato ordinario. Autore del Capitolo VIII, Lo smart-working: necessità e virtù, in Diritto e Covid-19, a cura di G. Chiesi e M. Santise, Torino, 2020.
[1] Per un approfondimento sull’istituto dello smart-working e la sua evoluzione in relazione all’epidemia da COVID-19 si veda G. Paladino “Lo smart-working: necessità e virtù”, in “Diritto e COVID-19”, a cura di G. Chiesi e M. Santise, Torino, 2020.
[2] Consultabile in www.gazzettaufficiale.it.
[3] Entrambi consultabili in www.governo.it.
[4] Il testo dell’art. 90 del d.l. n. 34/2020, precedentemente alla conversione, era il seguente:“1. Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. 2. La prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dal datore di lavoro. 3. Per l'intero periodo di cui al comma 1, i datori di lavoro del settore privato comunicano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 4. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per i datori di lavoro pubblici, limitatamente al periodo di tempo di cui al comma 1 e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all'articolo 22 della medesima legge n. 81 del 2017, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL)”.
[5] Consultabile in www.gazzettaufficiale.it.
[6] Consultabile in www.gazzettaufficiale.it.
[7] Quest’ultimo decreto legge, infatti, ha prorogato alla data del 15 ottobre 2020 la normativa che contemplava il diritto per alcune categorie di lavoratori di effettuare la prestazione in smart-working senza la necessità del previo accordo con il proprio datore.
[8] Consultabile in www.lavoro.gov.it.
[9] Il testo dell’art. 263 del d.l. n. 34/2020, precedentemente alla conversione, era il seguente: “1. Al fine di assicurare la continuità dell'azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, fino al 31 dicembre 2020, adeguano le misure di cui all'articolo 87, comma 1, lettera a), del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, alle esigenze della progressiva riapertura di tutti gli uffici pubblici e a quelle dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali. A tal fine, organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l'erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell'orario di lavoro, rivedendone l'articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l'utenza. Ulteriori modalità organizzative possono essere individuate con uno o più decreti del Ministro per la pubblica amministrazione. 2. Le amministrazioni di cui al comma 1 si adeguano alle vigenti prescrizioni in materia di tutela della salute adottate dalle competenti autorità. 3. Ai fini di cui al comma 1, le amministrazioni assicurano adeguate forme di aggiornamento professionale alla dirigenza. L'attuazione delle misure di cui al presente articolo è valutata ai fini della performance. 4. La presenza dei lavoratori negli uffici all'estero di pubbliche amministrazioni, comunque denominati, è consentita nei limiti previsti dalle disposizioni emanate dalle autorità sanitarie locali per il contenimento della diffusione del Covid-19, fermo restando l'obbligo di mantenere il distanziamento sociale e l'utilizzo dei dispositivi di protezione individuali”.
[10] Il Piano della perfomance costituisce un documento programmatico triennale, che le pubbliche amministrazioni adottano in coerenza con i contenuti e il ciclo della programmazione finanziaria e di bilancio, che individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori.
[11] Il raggiungimento delle percentuali indicate dall’art. 263, comma 4-bis è realizzato nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, mentre le economie derivanti dall'applicazione del POLA restano acquisite al bilancio di ciascuna amministrazione pubblica.
[12] Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 77/2020, sono definiti la composizione, le competenze e il funzionamento dell'Osservatorio. All'istituzione ed al suo funzionamento si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, non comportando la partecipazione ad esso la corresponsione di emolumenti, compensi, indennità o rimborsi di spese comunque denominati (art. 263, comma 4-bis).
[13] Consultabile in www.governo.it.
[14] “Disposizioni urgenti per far fronte a indifferibili esigenze finanziarie e di sostegno per l’avvio dell’anno scolastico, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
[15] Che viene calcolata secondo quanto previsto dall'articolo 23 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151, a eccezione del comma 2 del medesimo articolo.
[16] Consultabile in www.regionecampania.it.
[17] Tribunale di La Spezia, 7 aprile 2020; Tribunale di Trento, 8 maggio 2020.
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